Pro Loco San Pietro in Cariano
I Edizione
Spesa sostenuta con i fondi di cui alla Legge Regionale N.34/2014-DGR NR.707 del 4 Giugno 2020
La Pro Loco San Pietro in Cariano (Verona) con il patrocinio dell’assessorato alla cultura del Comune di San Pietro in Cariano, il Consorzio Pro Loco Valpolicella, il Lyons della Valpolicella ed il Gruppo Culturale “Poeti delle Corti” indice e organizza il primo concorso nazionale di poesia in lingua italiana denominato: PRIMO PREMIO CUTURA PRO LOCO 2020
I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
(Alda Merini)
CONCORSO TERMINATO, DI SEGUITO RIPORTIAMO LA CLASSIFICA
PRIMA CLASSIFICATA
Assenza d’angolo
di Antonella IACOLI
Possiedo foto che non vorrei
stanze ripulite dalle lacrime
cabinet di giocatori d’azzardo
chini su carte e luna.
L’attimo eterno seduto sul divano
indolenzito color di vernice
quasi pallido e smagrito.
Lo so lo so spianano altre case
quelle antiche che amo
sono fuggite via come falene.
Oggi sono un fregio perimetrale
che s’attarda sotto trave
non mi trovi al buio facilmente.
Vive nel ghiaccio dei fiordi
la dissolvenza dei teoremi
il muto e mutevole passare
degli affetti.
Possiedo foto che non vorrei
stanze ripulite dalle lacrime
occhi finiti dentro il comodino.
Con una mano in tasca
la sera taglia il petto
da parte a parte
allaga il marmo.
E poi di te non so
che una porta che s’apre.
SECONDO CLASSIFICATO
L’ultimo miglio
di Stefano BALDINU
(in memoria delle vittime del volo Itavia IH870 precipitato a Ustica il 27 Giugno 1980)
“Guarda, cos’è?”
(ultima parole pronunciate fra i piloti alle 20:59 del 27 Giugno 1prima che l’aereo Itavia IH870 precipitasse a Ustica)
Mi hanno trovata laggiù
in un ritaglio accennato di Paradiso
con i miei occhi riflessi nel lato occidentale
dello sguardo di Dio crocefissa
come ad una parete di cielo capovolto
con quelle stigmate di sale a bruciarmi i polsi.
Lo ricordo quello spicciolo di estate
appena coniata a gravitare sull’asse
della mia felicità, un batticuore d’ali a danzare
sui polpastrelli di una gioia che saliva
in direzione ostinata e contraria
sullo spartito del temporale.
E già immaginavo il profumo maturo
delle zagare ad accompagnare il canto
del sole sui muri a secco.
Seguiva la rotta consueta quella scialuppa di sogni
a fendere la spuma delle luci e non sapevo
che altri, quella sera, giocassero alla guerra
nel mio stesso cortile.
Poi fu come un’immagine sfuocata
dopo un infarto emozionale, l’ustione del respiro
tra le corde vocali cabrando dalla gola al balcone dell’anima
ed io scoprii la desinenza atroce con la quale coniugare
la mia vita al passato; compresi di essere un’ostia immolata
sulla latitudine di un sacrificio imperfetto,
sentii il fragore della carezza di un cielo
che diveniva mare a frantumare tutti i desideri
rimasti intrappolati nella cappelliera.
E poi fu solo il silenzio a pronunciare, un battito alla volta,
il mio nome in una eco a svanire fra le righe irregolari
di una notte che ignorava i confini dell’assenza
e l’ombra dei pesci come un sudario a consolarmi la fronte.
Ma adesso che vivo sospesa sulla longitudine
dell’anima di Dio e cerco invano, oltre queste pagine d’infinito,
di ricordare la formula della gioia
sogno ancora, fra le pieghe sgualcite di ogni costellazione,
quell’ultimo miglio da percorrere tutto d’un fiato
fino alla curva delle sue labbra.
TERZO CLASSIFICATO
Carmelo CONSOLI
Una sera d’inverno
Ce ne andremo una sera d’inverno
troppo fragili e vecchi per fermare
il vento e la burrasca, portati via
dalle dimore care, da sogni e sofferenze.
Saremo soli e nudi come quando nascemmo,
uguale sarà lo sgomento che ci portò la vita;
stesse le domande rimaste nel mistero:
Chi siamo? Perchè siamo?
Ci sarà quel cielo tanto atteso?
E così un pensiero andrà alle amate cose,
ai volti cuciti nel cuore, agli stupori
d’ albe, tramonti e arcobaleni.
Un altro sarà per quell’attimo
che si pensa dolce e lungamente atteso
d’arrivare all’isola felice, per sempre
indenne da travagli e patimenti.
Ma quanto rimpianto dover lasciare
questa terra di tragedie e meraviglie
tante quanto mai avremmo creduto,
abbandonare gli uomini,
le piccole armonie, i rifugi delle case.
Ce ne andremo una sera d’inverno
per una porta o una piccola finestra
nella testa la fragranza dei giorni lieti,
l’azzurro fisso negli occhi.
Lasceremo tutto nel dubbio e negli incanti
senza aver capito la ragione di tanta bellezza
unita a tanta sofferenza.
Sarà solo il soffio lieve di un respiro
l’invisibile solco tra la vita e l’Oltre ignoto.
***
PRIMO SEGNALATO
Luceva il giorno
di Pietro Colonna Romano
Rosa e di raso, di seta hai la pelle
e calde l’arti, per virtù amorose,
risplendon gli occhi e velano le stelle.
Vorrei offrirti senza spine rose,
darti carezze con le mani lievi
e la tua strada coprir di mimose.
Luceva il giorno mentre tu nascevi,
magici suoni ingentilivan l’aria,
piangeva il ciel, ‘ché da lassù scendevi.
Al mondo, di sicuro necessaria,
grazia regali e regali profumo;
del bello e dell’amore missionaria.
Così ti cerco e il tempo e me consumo,
consumo e penso a quell’andar dell’ore,
che furon dolce incanto sciolto in fumo:
quell’ore ove io sognai d’aver l’amore.
SECONDO SEGNALATO
Di ulivi neri, di scogliera
di Egidio Belotti
“ ‘E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi / emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’ì euggi, / finchè u matin crescià da puèilu rechèugge / frè di gareuffeni e dè figge, / bacan d’a corda marsa d’aegua e de sa / che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de ma”. *
‘Creuza de ma’ F. De Andrè
Le frasi interrotte, quasi scintille sospese
sulla città assopita rivelare semplici malinconie
nella breve metamorfosi degli istanti, dove i sogni
riaprono le ferite oltre i sogni abbracciati alla fragile
melodia dei singhiozzi: al risveglio, quell’improvviso
frastuono inquieto di marea – Genova di ulivi neri,
di scogliera – nello struggente inerpicarsi di funicolari,
balconi, scale, e inaspettate voci distese, visi, spose,
oltre la terra scura, al di qua di questo mare annoiato,
carezzato appena dal dialogare docile del vento
amico degli scogli: e in quell’attimo, ecco Piazza Sarzano
vibrare d’ali e di canzoni, ombre di passaggio,
compagne di altri tempi sotto la nostra casa vuota,
con la straniera dolcenera amica della notte sospirare
delicate emozioni di fado e di chitarra. E poi, la malinconica
‘creuza’** piovosa profumare di rose, di sale, di mare,
Via del Campo sofferta epifania di ‘graziose’, Staglieno***
anima viva che riposa, e via di corsa senza fiato verso
l’ultima stazione avvolto dal silenzio immacolato delle cose,
accompagnato solo da questa sottile brezza stupita
che commuove nelle sue assenze dolorose.****
*”E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli / emigranti della risata con i chiodi negli occhi / finchè il mattino crescerà da poterlo raccogliere / fratello dei garofani e delle ragazze / padrone della corda marcia d’acqua e di sale / che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare”.
‘Mulattiera di mare’ F. De Andrè
** mulattiera di mare
***cimitero di Genova
****Campana, Caproni, Montale, Sbarbaro, Bindi, De Andrè, Lauzi, Tenco, le vittime delle alluvioni e del crollo del ponte Morandi.
TERZO SEGNALATO
Il vento silenzioso della morte
di Vittorio Ruocco
È un vento silenzioso quasi astratto
a trascinarci verso l’orizzonte
che appare come l’orlo dell’abisso
a noi viventi all’ombra della morte.
La piazza vuota al colmo del mattino
rende lo sguardo muto e sconsolato
a chi quasi a difendersi dal nulla
s’affaccia appena ai bordi della vita.
Il tempo sembra immobile, è un tormento
come una spada pronta a trapassare,
che fissa ad un centimetro dal cuore
non indietreggia né si lascia andare
al colpo che dilegua l’agonia.
Stammi vicina amica mia speranza
rinuncia ai tuoi propositi di fuga
da questa terra amara e maledetta,
rendimi almeno un palpito di luce.
Fa’ sì ch’io qui non resti a consumarmi
tra pile di ricordi e di rancori
ma possa ancora prendere per mano
la donna mia che attende sulla soglia
avvolta nel vestito dell’amore.
E se grida più forte la tempesta
e la paura annera ogni sorriso
perché il nemico occulto ci divora,
tu non abbandonarci alla deriva
ma guidaci nel tempio dell’aurora,
lontano, via da questa infausta notte.
Insegnaci ad usare le parole
raccolte lungo i viali del silenzio
per colorare di nuova bellezza
il volto sfigurato della vita.
Vedrai ritorneremo a camminare
con gli occhi accesi dalla meraviglia,
e finalmente ancora a respirare
il brivido innocente di un abbraccio.
QUARTO SEGNALATO
Non è deriva
di Franco Fiorini
Incontro
Ai nostri quarantacinque anni insieme
Siamo qui, mia cara,
in questa sera quieta di novembre
a leggerci sul volto le stagioni
fuggite come nubi al maestrale
a preparare il rosso dei tramonti.
Ti sorprendo negli occhi la memoria
di corse incontro al vento a primavera
e i primi baci all’ombra dei ciliegi
al biancoverde delle margherite
– giovane il tempo – a regalarci sogni.
E a lungo li abitammo, i nostri sogni,
dentro i giorni cocenti dell’estate
– il sole amico a riscaldarci i passi –
al cinabro ruffiano delle sere,
ai brividi di luna delle notti.
Chiede resa, adesso,
la poesia incerta delle nebbie
di quest’autunno che ci pesa addosso
dove i versi sono echi di parole
perdute alla ricerca di una rima.
Ma la vita che insieme attraversammo
è ancora linfa nelle nostre vene.
Non è deriva, è solo un saggio approdo
di due navigli, a ritemprar le vele
sotto la filigrana delle stelle.
Indomite riannodano, le mani,
la trama misteriosa di un disegno,
promessa antica di speranze, e nuova.
Ora c’è da curare il gelsomino,
fiore ostinato che non vuol morire.
QUINTO SEGNALATO
Prima di spegnere
di Davide Bergamin
Le idee stanno ferme
sulle gambe
e i mondi spesi in altre vite
sono trasognanti rate a strozzo
su coperte di formiche.
Scrivo così, per vivere,
frasi appiccicate che,
senza saper dare altro nome,
qualcuno chiamerà poesia.
La speranza qui si arrende
dal cercarmi in uno specchio,
dove appare solamente
uno spigolo muschióso
che verdeggia sul cemento.
Stordisco nelle frasi
dal chiaro povero dei gesti;
i miei occhi cedono, socchiusi,
e la mia testa affronta con fatica
il peso di un alieno sonno.
A illuminarmi vorrei la notte,
per sentire di essere al sicuro
allontanato dai soggioghi
di ogni misera creatura.
Provo a spegnere la luce
e chiudo i miei pensieri aperti;
guardo e riesco a non vedere
morali sporche in ogni storia.
In un vile ultimo futuro
l’istinto perso di una madre
lascia al vento il fioco cero:
quel lume triste di un tramonto
che non riuscì a chiamare figlio.
Cancello le ultime illusioni,
e i colori in dissolvenza
vanno via placando il petto
che addormenta di eco in eco.
SESTO SEGNALATO
amabilmente sulla fanciullezza
di Giovanni Bottaro
Campaiaio: qualche tégola unita
da mutue pareti perimetrali
finestrella assolata
fontanella stentata
a terrazzi terra risicata
melodia di foglia ostinata
sera d’ombre imbrattata:
cessava il fuso di prillare
tremava ramo / tremolava un’ala
battendo salda suola sulla via appariva
il pastore sull’avemmaria: la greggia
al fresco del Casone seicentesco
polenta – luna piena gialla – rassodava
con il filo makò affilato a spartirla
postquam cenatum est
cioccherello scaglioso scoppiettava:
alitando col soffione sulla brace
tra gli alari la fiamma ravvivava
in toni di forgia rosso-azzurri
faville fuggenti a folleggiare
– farfalle a fuggire tra fuligginose
sofferenze per giungere affaticate
sulle stelle – evocavano fogge folli:
e il cuore scaldava
fremendo affrettato il flusso rosso
si accoccolava la tovaglia
ed io di malavoglia – con allungate
braccia e con la fronte bassa
(ché la lana non s’avvinghi al diritto-
rovescio dei ferri per la maglia) –
riducevo – con Nonna –
in gomitolo matassa
e il fuoco s’estingueva
in ramati riflessi a declinare
sulla mia testa bionda.
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